Il clan si ritrovava intorno al fuoco per condividere la vita, il cibo, le feste. Era lo spettatore dello scorrere del tempo, la forza della tradizione e della cultura che veniva trasmessa tra miti e leggende sussurrati la notte anno dopo anno. Ma era anche le risa, la gioia, il sostegno di un popolo, ciò che teneva unita la comunità.
Intorno al fuoco si prestavano giuramenti e promesse, che venivano così sanciti con sacralità. I celti durante le quattro feste sacre accendevano grandi fuochi che, di volta in volta, avevano significati diversi: il fuoco di purificazione di Imbolc, il fuoco della protezione e dell’amore di Beltane, il fuoco del ringraziamento di Lughnasadh e il fuoco della memoria e della divinazione di Samhain.
L’accensione rituale gli faceva quindi assumere un ruolo sacro.
Essi, inoltre, non consideravano il fuoco come un elemento. Per loro gli elementi erano solo tre e non quattro. Il fuoco era la trasformazione da uno stato ad un altro, ciò che costituisce la materia. Guardarlo fendere l’aria e confondersi con essa, fece loro capire che il suo scopo era accendere il pensiero, spingendolo a cambiare e a manifestarsi.
Il fuoco scalda, nutre e dona vita, ma va curato e alimentato, perché altrimenti si spegnerà e riaccenderlo sarà più difficile. Allo stesso modo anche la nostra anima, la nostra fiamma interiore, deve essere alimentata e nutrita per compiere il suo viaggio.
Come un tempo, così anche noi ci ritroviamo intorno al fuoco durante le feste e nelle sere d’estate, per condividere ciò che abbiamo da donare. Rendiamo sacra la nostra vita anche attraverso questo gesto così semplice e così antico.
La via del fuoco diventa così la via di iniziazione e di cammino dentro noi stessi, per ritrovare la nostra fiamma dell’anima e accenderla perché ci guidi nella notte.